Amica mia, ogni sera scende su di me una sorta di maledizione.
Quando tutta la famiglia è al letto che dorme, spento il computer, messa a tacere la televisione, vado in bagno. In questa stanza un po' male in arnese ritornano i medesimi pensieri. Al primo crederai sicuramente: penso al fatto che mio padre sia morto. Sono passati poco meno di due anni, ma sembra che sia accaduto proprio ieri. Poi penso alla mia inevitabile fine, alla caducità delle cose, del mondo, dell'universo intero. Tu che ami i concetti escatologici dovresti trovarti a tuo agio e suggerirmi la tua opinione in proposito.
Ciò che invece ti sembrerà inverosimile è il terzo dei miei pensieri, che è rivolto a te. Già leggo lo stupore che dai tuoi occhi si allarga al resto del viso e a tutto il tuo corpo che s'irrigidisce: «Non ci credo». A volte mi capita di non credere ad alcuni eventi che sono realmente accaduti, che ho visto perché c'ero, ne ero il protagonista. Non è facile dar credito a qualcuno che sostiene di pensare a te ogni sera prima di andare a letto, in bagno, per giunta.
Tu che sai come fare, devi aiutarmi a capire. Provo a spiegare quello che mi accade. Non sono così convinto di pensare a te, amica cara, ma piuttosto sono convinto che sia tu al centro di questo momento. In effetti si tratta di una persona che non esiste, plasmata da una fantasia evocatrice e infantile. Che ha i tuoi occhi nocciola, i tuoi capelli sottili, il tuo incredibile profumo. E un sorriso... pericoloso. Sei inquieta, nervosa, tuttavia dotata di un notevole talento che definirei ‘visivo’. In greco il verbo ‘sapere’ si compone con il passato del verbo ‘vedere’. Tu... sai! Sei sempre più incredula? Posso solo immaginare quanto.
La tua capacità di vedere, inquadrare e comprendere qualsiasi situazione sfocia in una conoscenza e in un'abilità di cui tu stessa dubiti, non per modestia, ma per convinzione. Rifletto, chiuso in quel bagno dalle pareti beige, sul tuo potere, il tuo dono narrativo innato così fortemente evocativo. La tua diffidenza è la prigione della mia ossessione, la condanna più crudele. Sei una donna d'altri tempi, così lontana dal presente. Ti paragono spesso al vento, tanto presente quanto invisibile; mutevole e sferzante. Il vento porta sempre qualcosa, pioggia, neve, sereno, sabbia, caldo, gelo, grandine. È energia pura, è presenza che va verso l'assenza, casuale ma regolato da leggi superiori. Riempie il vuoto, porta a spasso le nuvole, fa arruffare il mare. Risuona cupo, anche se lui non emette suoni in sé. Assimilarti al vento è un accostamento talora pericoloso:
La calunnia è un venticello
un'auretta assai gentile
che insensibile, sottile,
leggermente, dolcemente
incomincia a sussurrar.
Piano piano, terra terra,
sottovoce, sibilando,
va scorrendo, va ronzando;
nelle orecchie della gente
s'introduce destramente
e le teste ed i cervelli
fa stordire e fa gonfiar.
Dalla bocca fuori uscendo
lo schiamazzo va crescendo
prende forza a poco a poco,
vola già di loco in loco;
sembra il tuono, la tempesta
che nel sen della foresta
va fischiando, brontolando
e ti fa d'orror gelar.
Alla fin trabocca e scoppia,
si propaga, si raddoppia
e produce un'esplosione
come un colpo di cannone,
un tremuoto, un temporale,
un tumulto generale,
che fa l'aria rimbombar.
E il meschino calunniato,
avvilito, calpestato,
sotto il pubblico flagello
per gran sorte ha crepar.
«Stai esagerando!»
Mi sembra di sentire la tua obiezione. Sei naturalmente portata a svilire il pensiero altrui perché sbagliato, obiettando frase per frase, soprattutto sulla logica sottostante al costrutto sintattico, su ciascun concetto. Il tuo relativismo annienta qualsiasi difesa. Hai sempre ragione. Riesci a illuminare le mie tenebre cognitive, mi conduci per mano verso la giusta strada. Non sono convinto, ma i tuoi assiomi non ammettono replica.
«È così, devi accettarlo».
So che non è vero, che esiste almeno un'altra spiegazione, ma so solo vederne la ragione senza essere in grado di esporla.
«Amica mia, dove siamo?»
«Siamo nel nulla. Paradossalmente», sostieni sicura del fatto tuo, «siamo; ma nel nulla, dove niente dovrebbe essere».
Hai ragione anche stavolta, anche se non potremmo; siamo finiti nel nulla, anche se in realtà, lì, non dovremmo essere. Non perché non dovremmo trovarci nel nulla, ma perché, una volta capitati in quella dimensione, il nostro essere dovrebbe cessare del tutto.
«Carissima, dal nulla non viene niente!»
«Bravo, ma credo che tu stia citando Hegel soltanto per compiacermi. Non ne voglio fare una questione ontologica, insomma non mi riferisco al non–essere, bensì a un non–luogo, das Nichts».
Fantàsia muore perché la gente ha rinunciato a sperare, e dimentica i propri sogni, così il Nulla dilaga, poiché esso è la disperazione che ci circonda. Io ho fatto in modo di aiutarlo, perché è più facile comandare chi non crede in niente.
lunedì 1 febbraio 2010
Viaggio verso il nulla - 1a puntata
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