Mostar potrebbe assomigliare a Ponte Vecchio in quanto a toponimo. Forse esiste un centro che si chiami così in Italia. Sicuramente è il ponte per eccellenza di Firenze. È la città dell’Antico Ponte (Stari most), decisamente rimodernato dopo che la guerra civile l’aveva spazzato via a suon di bombardamenti. “Never forget” c’è scritto in una lapide appoggiata su un muro del centro. Come dimenticare gli effetti delle mitragliate ancora in bella vista sui muri delle zone semicentrali? Eppure, questa città ingenua e sospesa, ha grinta e voglia di vivere da vendere. Discreti locali con musica a tutto volume costellano il centro storico, a cui si potrebbe accedere in auto se delle volenterose cameriere acchiappa-clienti non segnalassero al forestiero che non si circola nei vicoli. A che servono dei cartelli con delle persone così gentili?
La Bosnia sembra essere una sorta d’intestino croato, dove tutto è decisamente lontano, confuso e stravagante: in mezzo alla campagna, tra case semplici e sparse sul territorio, appaiono ogni tanto portentosi hotel a cinque stelle. Non è chiaro chi e perché dovrebbe alloggiare in strutture così confortevoli in mezzo al nulla. La tipica casa bosniaca è semplice: anche la ringhiera di un balcone appare come un ammennicolo a cui si può rinunciare, basta fare attenzione a dove si mettono i piedi. Per contro, lo stile alberghiero bosniaco è eccessivo, colorato, leggermente pacchiano. Non nel senso “arabo” del termine. Piuttosto in Bosnia si ostenta una certa — presunta — qualità nel costruire manufatti di una qualche pretenziosità. Neum è tutta così, una specie di Sorrento dalla vista sul mare strozzata da un lunghissimo lembo di Croazia. Alberghi coloratissimi e zeppi di stelle, quasi a formare una Montecarlo in salsa balcanica. Le persone stesse sono allegre, reattive, anche se sembrano vivere con una sorta di orgoglio misto a senso di inferiorità nei confronti dei loro vicini croati. Eppure hanno parecchio in comune i due popoli, a partire dallo stile di guida vagamente suicida con il quale conducono i propri mezzi a destinazione, talora in fondo a una scarpata delle superstrada adriatica, priva com’è dei parapetti nei punti più pericolosi. Ma non fate mai notare a un bosniaco la benché minima rassomiglianza con un croato e viceversa. Qualcuno, dall’altra parte del mare, vi dirà con disprezzo che i ćevapčići sono bosniaci e non croati. Inutile sottolineare che sono diffusi anche in Italia e Austria. È un po’ come la storia del caffè turco che in Grecia diventa caffè greco.
Mostar è incantevole, non v’è dubbio. Pulita, ordinata, tranquilla, piena di giovani. Pur non somigliando a nessuna delle città italiane, ha un suo stile simil-veneziano, un po’ come le altre città dalmate. La comunità musulmana è ben integrata: moschee e chiese convivono tranquillamente. Donne velate e ragazze discinte si ritrovano nelle stesse vie, tollerandosi a vicenda. Non sembra esserci tensione, tutt’altro. Nonostante i campi di concentramento croati per i musulmani di Bosnia del 1993, l’atmosfera è serena, come se il tempo si fosse fermato da un po’. Qualche auto targata Belgrado o Zagabria appare timidamente qua e là parcheggiata in strada, restando incredibilmente intatta. I bosniaci non dimenticano, ma non sembrano essere vendicativi.
La posizione sulla Neretva, l’azzurrissimo fiume che taglia in due la città, e le montagne che la circondano ricordano vagamente Firenze, così come il succitato Ponte Vecchio, le bancarelle e il fatto stesso di essere così raccolta. Decisamente una Florentia balcanica, dallo stile architettonico omogeneo e perfetto.
Gli abitanti di Mostar sono decisamente intraprendenti. Oltre alle botteghe di artigianato vario, c’è un ragazzotto che gira col solo costume da piscina organizzando una piccola colletta a favore degli spettatori che lo vedranno gettarsi nel fiume. Il ponte è altissimo, 24 metri. Il fiume è gelido e non abbastanza profondo e largo per garantire un tuffo in sicurezza. Eppure il giovane cammina baldanzosamente fuori dal parapetto tenendosi con una mano. Se scivolasse da quella posizione, cadrebbe in una parte di fondale non abbastanza profonda del fiume. Per di più, non avrebbe il tempo di tuffarsi con una postura adatta a mitigare l’impatto con l’acqua. Ma tant’è, il rito inizia. Raccolti dei fondi ritenuti sufficienti dal socio che resta all’asciutto, va a bagnarsi con un tubo verde appoggiato appena fuori dalla torre Helebija, tanto per acclimatarsi. Poi, scalzo, procede verso la sommità del ponte. Silenzio. Concentrazione. Si rannicchia in una posizione quasi fetale, lascia il sostegno del ponte e si getta piegato a metà e braccia aperte, forse per frenare un po’ la sua caduta. Un urlo soffocato del pubblico segue la sua velocissima caduta. L’entrata in acqua avviene dopo due secondi circa a una velocità non inferiore a 20 chilometri orari. Un istante prima dell’impatto richiude le braccia con forza per creare una contro-spinta che gli consenta di non sprofondare troppo. Credo che sfiori comunque il fondo, che non dev’essere superiore a 15 metri. Il giovane riemerge soddisfatto, ora è un vero uomo. E un po’ più ricco di qualche euro. Pronto a un nuovo tuffo.
martedì 26 agosto 2008
Bosnia: Mostar
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