martedì 19 febbraio 2008

Era mio padre

Vederlo morire è stato come assistere allo spegnimento progressivo di un utensile a batteria che si scarica. Lentamente il cuore si è fermato, insieme al suo respiro. E io ero lì, di fronte a lui o al suo corpo, ormai. Che fa un figlio allo spegnimento di suo papà? Mi sono alzato, sono andato dalle infermiere ad avvertirle con dei gesti semplici ma eloquenti. Poi ho assistito meccanicamente a una specie di commemorazione funebre, in mezzo ai malati ancora vivi, anche se per poco. Ho pensato che, se tutto fosse andato bene, sarei morto anch'io di malattia e mia figlia mi avrebbe guardato attonita, chissà, pensando che la vita sia tutta una fregatura. Come l'anziana di cui sopra.
Ora la vita scorre in maniera differente, cambiano nomi, ruoli, anche gli oggetti assumono un aspetto tetro. I suoi vestiti nell'armadio ora possono essere definiti come «appartenuti al defunto». Pertanto perdono del loro valore quotidiano e assurgono al ruolo dei ricordi. Attaccate ai tessuti devono essere rimaste alcune cellule di Antonio, piccole, invisibili, simboliche. E morte, anche loro. Un capello, una sciarpa in fondo a un cassetto, i calzini da rammendare. Le scarpe, che ricordano perfettamente i piedi che le hanno indossate. Qualcuno deve raccogliere tutti questi indumenti e decidere se tenerli, gettarli, regalarli. Me ne occupo io, ma mi sento un monatto. Quei pantaloni ripiegati sul mio avambraccio sembrano dei corpi esanimi che vengono spostati
pietosamente verso luoghi più consoni. Tra silenzi assordanti, pianti soffocati, imprecazioni sul destino crudele. L'ansia di organizzare il piccolo trasloco soffoca a tratti i ricordi di un'esistenza che saltano via come lingue di fuoco da una coperta che tenta di soffocarle. Spesso basta una piccola favilla a rianimare un doloroso incendio dell'anima. Dalla metafora alla sensazione fisica di bruciore non c'è tanta differenza in quei momenti.
Gli oggetti sono i nostri padroni. Ho in casa l'ultima saponetta utilizzata da mio padre. Stringo tra le mani l'ultima acqua di colonia. Si potrebbe impazzire pensando alle ultime cose che possiederemo. Chissà se mio padre poteva immaginare quale sarebbe stata la sua ultima doccia a casa, la sua ultima cena, l'ultimo programma visto in TV, l'ultimo giornale letto.

La vita continua, ma non proprio come prima. Tante decisioni da prendere al posto di mio padre. Molte delle quali estremamente dolorose. Approverà il mio operato? Ecco, penso a lui come se fosse vivo, come se potesse giudicarmi da un'altra dimensione. Certo si fa vivo nei sogni, ora triste, ora arrabbiato, ora muto. Mi dà i numeri, ma non gioco al lotto. Mi pone domande. Mi guarda. Urla. Piange. Mi parla di concetti senza senso. Ma ho studiato che i sogni sono proiezioni del vissuto, non è lui davvero. Anche se sembra più semplice credere alla seconda teoria. La mia esistenza si è svuotata di significato, si è irrigidita, disseccata, come un vecchio tronco spiaggiato. Una volta era un albero, ora è nudo, secco, abbandonato, solo. Milano, il capo, il lavoro: la loro bruttezza non ha più significato per me. Sono infimi rispetto al mio sguardo rivolto verso un orizzonte che vorrei scavalcare a tutti i costi.

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